Piante officinali nella storia


La scoperta delle proprietà curative delle piante è ben nota sin da i tempi più antichi. L'uomo primitivo ritrova nella pianta l'alimento, l'indumento, il riparo, l'arnese da lavoro, la fonte del calore, la cosmesi, i profumi e anche naturalmente la medicina. Da un punto di vista storico si può affermare che tutta la medicina ha le sue origini nella scienza delle piante medicinali.

Gli indiani del Nordamerica conoscevano circa trecento piante diverse per curare il raffreddore, la febbre e le ferite e altre duecento con effetti lassativi, sedativi e stomachici. Moltissime tribù usavano la corteccia di salice per curare i reumatismi; il salice, infatti, contiene la salicina, sostanza antidolorifica simile all'aspirina e il curaro, per catturare gli animali paralizzandone i muscoli. Tale sostanza viene oggi usata come anestetico.

Le prime notizie sull'uso di piante a scopo curativo si perdono nella notte dei tempi. I più antichi documenti scritti appartengono alla civiltà cinese: famoso è l’erbario del padre della medicina cinese e inventore dell’agopuntura Shen-nung , risalente al 2700 a.C. il Pen Ts’ao Ching (Enciclopedia delle erbe) che riporta la descrizione di 2000 piante medicinali e di 8000 prescrizioni erboristiche. È un'opera monumentale, in cui sono evidenti le tracce dell'antica filosofia cinese del Tao, coi suoi principi eterni e immutabili, che si manifestano nei segni opposti dello ying e dello yang e nei cinque elementi naturali: terra, acqua, fuoco, legno e metallo, fra loro interconnessi. Anche in India come in Cina l’uso delle piante officinali è antichissimo. Lo dimostra uno dei testi fondamentali dell’Ayurveda ( il sistema di medicina indiana più antico di cui l’uomo abbia conoscenza) contenente medicamenti composti da 67 erbe, tra cui lo zenzero, la cannella, la senna e molte altre.

Ma è in Egitto che possiamo trovare le basi della nostra cultura medica occidentale. Infatti il più antico manoscritto sulla medicina naturale è un papiro (1550 a.C.) che contiene circa 876 formule erboristiche basate su più di 500 piante, di cui quasi un terzo compare ancora nelle farmacopee occidentali. A motivo delle loro tecniche di imbalsamazione gli egizi sono stati anche i primi a utilizzare sostanze per distruggere o contenere lo sviluppo di funghi e batteri responsabili dei processi di decomposizione. I principi attivi di fiori, foglie, radici, resine, bacche, semi e frutti, assorbiti dagli oli utilizzati per ottenere gli estratti, trovavano applicazione anche nella cosmesi e nell'igiene, e questi metodi rimasero in vigore sino alla scoperta dell'alambicco.

Nei papiri con prescrizioni mediche, giunti sino a noi, si sono ritrovate molte ricette che curavano e lenivano le malattie più comuni.

  • L’orzo, Hordeum vulgare, e il frumento, Triticum aestivum venivano utilizzate per preparare un unguento fatto con farina, manna, sale, papiro, cuoio bruciato, olio e cera che serviva per lenire le bruciature.
  • La birra, veniva utilizzata oltre che come mezzo per miscele medicamentose, anche come sedativo avente azione euforica.
  • Il succo di melagrana, Punica granatum era un buon digestivo ed era impiegato anche come bevanda, detta shedeh, ad azione antitossica, mentre la sua scorza era un potente antielmintico, che gli Egizi usavano per eliminare le tenie, insieme alla cipolla e alla mandragora, Mandragora officinarum.

La Grecia classica è stata profondamente influenzata dalle conoscenze egizie e mesopotamiche. Nel V sec. a.C. la medicina greca che andava per la maggiore era basata su digiuni e diete alimentari, esercizi ginnici, balneazioni, unzioni, purghe e cura del sonno. Le ricette dei profumi e delle medicine erano incise su lastre di marmo, presso i templi, affinché tutti potessero disporne.

La prima classificazione organica di circa 400 specie di piante medicinali fu opera del più famoso dei medici greci Ippocrate (460 -377 a.C.) il quale si servì di fonti egizie depurandole dagli elementi magici e attribuendo alle malattie cause naturali. La dottrina ippocratica fondamentale (influenzata dalle teorie di Empedocle e Zenone) era quella relativa ai quattro temperamenti o umori - sanguigno, flemmatico, melanconico, collerico - le cui cattive funzioni andavano contrastate con degli antidoti. La malattia era una sorta di squilibrio dei rapporti tra gli umori, che andavano considerati in sintonia con gli elementi primordiali dell'universo (terra, acqua, aria, fuoco), con le qualità elementari dell'esistenza terrena (freddo, caldo, umido, secco), con le stagioni dell'anno (primavera, estate, autunno, inverno), con le età della vita (puerizia, giovinezza, maturità, vecchiaia). La dottrina Ippocratica consisteva nel curare i sintomi con il loro contrario (contraria contrariis curantur) o con il loro simile (similia similibus curantur).

Verso la metà del III sec. Teofrasto studiò sistematicamente le piante e le descrisse dettagliatamente nella sua Historia Plantarum.

Alcuni secoli più tardi, l’opera di Ippocrate fu ampliata da Dioscoride Pedanio, medico greco poi divenuto cittadino romano, che inventariò più di 500 droghe di origine minerale, vegetale e animale in un celebre trattato che prese il nome di “ De Materia Medica”. Il trattato include una ricchissima farmacopea e fornisce indicazioni sul trattamento di varie affezioni e condizioni: dalla forfora alla lebbra, dal mal di denti alle gravidanze indesiderate. In epoca romana, quindi, si comincia a parlare di Farmacoterapia nel senso moderno del termine e cioè studio delle “droghe” ovvero dei prodotti complessi di origine vegetale. Non si hanno più semplici elenchi, ma delle vere e proprie descrizioni dell’uso, degli effetti, del dosaggio, delle modalità di somministrazione e dell’aspetto delle piante medicinali.

Il più importante degli studiosi del regno vegetale nella Roma antica fu Plinio il Vecchio. La sua opera “ Naturalis Historia” era descrittiva e le informazioni in suo possesso non furono verificate dall’autore, per questo motivo il suo lavoro non ha avuto grande importanza per lo sviluppo della medicina. Molto più significativi sono gli scritti di Galeno, forse il medico più importante dopo Ippocrate. Il suo erbario il De simplicium medicamentis et facultatibus dà informazioni su ogni pianta e sul suo ambiente, ognuna accompagnata da una nota sul suo uso medicinale. Il suo nome, inoltre, diede origine al termine “galenico” che significa “medicinale da prepararsi al momento”.

Nel periodo dell’oscurantismo le conoscenze scientifiche del mondo greco e arabo vengono conservate nei monasteri grazie alla famosa pratica della ricopiatura. In quel periodo la Scuola di Salerno, di Toledo e di Montpellier ebbero un ruolo fondamentale nel tramandare ai posteri le conoscenze mediche e farmacologiche. In queste Scuole si traduceva dall’arabo al latino, la lingua universale della scienza nell’Europa medievale. A Salerno, Matteo Plateario scrisse il De simplici medicina, la più importante opera di medicina del Medioevo e in quegli anni fu realizzato anche il primo giardino botanico del mondo.

Federico II con le Ordinationes emanate nel 1231-41, elevò la Scuola di Salerno al rango di Università e stabilì la distinzione tra i due mestieri di medico e speziale, inaugurando sostanzialmente l’organizzazione farmaceutica in Europa.

Con la scoperta del continente americano inizia il periodo (XV-XVI sec. d.c.) delle esplorazioni scientifiche delle nuove terre. Quest’ultime erano ricche di nuove specie vegetali e rappresentarono per gli europei la fonte di un rinato interesse per lo studio e l’approfondimento della botanica e della fitoterapia che da tempo era divenuta stagnante.

I vecchi concetti galenici vennero abbandonati e, in particolare, l’invenzione della stampa a metà del XV secolo diede nuovo impulso alla diffusione della cultura. Gli erbari potevano circolare in più copie e potevano essere corredati da illustrazioni che rappresentavano accuratamente le piante descritte, furono rivalutate e vennero introdotte in terapia molte delle piante che erano state accantonate in passato, perché considerate, prima di allora, troppo pericolose per l’impiego in terapia. Il progredire della tecnologia a disposizione degli studiosi e della conoscenza sui farmaci vegetali, resero possibile l’utilizzo medicinale di queste particolari e potenti specie, tra le quali troviamo l’ aconito, la digitale, la felce maschio, la segale cornuta, il colchico, la belladonna, il giusquiamo ed altre, cadute in disuso per la loro elevata potenza farmacologica (velenosità).

Uno dei maggiori botanici italiani del Rinascimento fu Pier Andrea Mattioli, che scrisse un “ Compendium de plantis omnibus”, passando in rassegna tutte le piante conosciute e descrivendone le virtù mediche sull’esempio fatto da Dioscoride.

Molto importatnte fu la teoria conosciuta come “la dottrina delle segnature” proposta da Paracelso e fondata sulla corrispondenza morfologica tra erbe e corpo umano. Con Paracelso inizia il periodo degli studi chimici, la scienza si concentra sul principio attivo della pianta, che lui stesso chiamò “quinta essentia” e grazie ai suoi studi arriverà alla scoperta degli alcaloidi e dei glucosidi allo stadio puro.

Il XVII secolo fu l’epoca di maggiore prosperità per l’erboristeria prima di avviarsi verso un ingiustificato declino. Infatti nei due secoli successivi l’abilità degli erboristi venne lentamente sostituita dal progresso della medicina che cominciò ad essere sempre più coinvolta nelle sperimentazioni dei laboratori di fisica e chimica, collocando in secondo piano la tradizione delle cure fitoterapiche.

Il rapido sviluppo scientifico, le importanti scoperte tecnologiche, fra le quali l’energia elettrica, il miglioramento di tutte le tecniche estrattive e l’affermazione della chimica pura che si ebbero dal XVI al XVIII secolo sfociarono, nel 1803, nel raggiungimento del traguardo perseguito per secoli dagli scienziati di mezzo mondo: l’ottenimento del primo principio attivo in forma pura. È questo l’anno nel quale Sertűrner (1783–1841 d.c.), un farmacista tedesco, isolò la morfina dall’oppio

La scoperta della morfina fu presto seguita dall’isolamento di molti altri composti importanti come la stricnina (1817), chinina e caffeina (1820), nicotina (1828), atropina (1832), cocaina (1855) e la miscela di glicosidi cardioattivi (digitalina) dalle foglie di Digitalis purpurea nel 1868

Sull’onda di questo entusiasmo il mondo scientifico concentrò lo studio verso i prodotti di sintesi, sottraendo interesse alle piante officinali e medicinali che furono per lo più utilizzate come materiale di partenza per l’ottenimento delle molecole pure. Tale cambiamento fu favorito da diversi fattori come la scarsità e la difficoltà di reperire nuove fonti vegetali, i lenti procedimenti di estrazione messi a confronto con la velocità dei procedimenti sintetici e, non ultimi, i costi elevati.

Tuttavia, negli ultimi anni si assiste ad un rinnovato interesse verso le piante medicinali, supportato dal crescente apprezzamento dei consumatori per i prodotti di origine naturale sia per la cura del corpo che per la prevenzione di alcune patologie.

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